La mistura di cenere vulcanica e calce produceva un impasto molto più solido e sostenibile di quello impiegato da duecento anni a oggi. Una pratica che incide per il 7% sulle emissioni di diossido di carbonio a livello mondiale
ROMA – “In secula seculorum”, nei secoli dei secoli. E così sia: una volta costruito un edificio, nell’antica Roma, ce ne si poteva dimenticare. Eccetto terremoti imprevedibili, tutti avevano la certezza che non sarebbe mai crollato. Perché l’impasto cementizio utilizzato ai tempi dell’Impero era meglio di quello che sappiamo fare oggi. Più resistente sì, ma anche più sostenibile dal punto di vista ambientale.
Per capirlo basta guardare le rovine romane ancora in piedi dopo oltre duemila anni. E a metterlo nero su bianco è uno studio di una squadra internazionale di scienziati, e potrebbe aiutare chi costruisce a farlo da qui in poi in maniera migliore. Gli scienziati e gli ingegneri hanno notato la resistenza all’erosione e all’acqua del cemento romano impiegato nella costruzione di porti, ancora perfettamente conservato in molti casi. L’ingegnere Marie Jackson dell’Università della California a Berkley fa i numeri: “Rispetto a quello romano, il cemento di Portland, quello che usiamo comunemente da 200 anni, in queste condizioni non durerebbe più di mezzo secolo prima di iniziare a erodersi”.
Per capire le proprietà del cemento romano, l’equipe ha analizzato tra l’Europa e gli Usa un campione estratto dal porto romano della baia di Pozzuoli, a Napoli. Il segreto è nell’utilizzo di particolari minerali, tra cui roccia vulcanica e calce, che a contatto con l’acqua rendevano il cemento particolarmente solido. E che per essere prodotto, non aveva bisogno di una dispersione di diossido di carbonio nell’atmosfera pari al 7% del totale, come accade oggi. Il connubio calce-cenere vulcanica non c’è nel cemento di Portland. E quindi “dopo qualche anno inizia a fratturarsi, al contrario di quello romano”, spiega ancora Jackson. Impiegare oggi quelle tecniche di costruzione è una sfida per tutta l’industria. Ma si avrebbe quindi poi accesso a un materiale più solido ed ecologico da produrre. Accanto alle altre soluzioni sostenibili per l’ambiente a cui oggi l’umanità ha accesso, ora c’è un’altra risposta che viene dal passato remoto.
Che cosa c’è nel cemento dei romani che mantiene il Pantheon e il Colosseo ancora in piedi?
I Romani iniziarono a fare calcestruzzo (pietra artificiale) più di 2.000 anni fa, ma non usavano un cemento come quello che usiamo noi oggi. Avevano una formula diversa, che ha comportato una sostanza che non era forte come il prodotto moderno. Eppure strutture come il Pantheon e il Colosseo sono sopravvissute per secoli, spesso con poca o nessuna manutenzione. Geologi, archeologi e ingegneri stanno studiando le proprietà del calcestruzzo degli antichi romani per risolvere il mistero della sua longevità.
“Il calcestruzzo romano è. . . notevolmente più debole dei calcestruzzi moderni. Circa dieci volte più debole”, dice Renato Perucchio, un ingegnere meccanico presso l’Università di Rochester a New York. “Quello che stupisce è che questo materiale rivela una resistenza fenomenale nel tempo”.
La resistenza, nel tempo e contro gli elementi aggressivi, può essere dovuta a uno dei principali ingredienti del cemento usato: cenere vulcanica (pozzolana). Il calcestruzzo moderno è un mix di calce o cemento, acqua, sabbia e cosiddetti inerti come ghiaia fine. La formula per il calcestruzzo romano inizia con l’uso della calce: i costruttori bruciavano pietra calcarea per produrre calce viva e poi aggiungevano l’acqua per creare un impasto. Poi cominciarono a mescolare cenere vulcanica, di solito tre parti di cenere vulcanica a una parte di calce, secondo gli scritti di Vitruvio, un architetto e ingegnere del primo secolo a.C. La cenere vulcanica reagiva con l’impasto di calce per creare una malta resistente che veniva mescolata con pezzi di mattoni o di roccia vulcanica chiamata tufo, e poi confezionati in posizione per formare strutture come muri o volte.
Entro l’inizio del II secolo a.C., i Romani già utilizzavano questo cemento in grandi progetti di costruzione, suggerendo che la loro sperimentazione con il materiale da costruzione fosse cominciata già prima. Altre società antiche, come i greci, probabilmente avevano anche utilizzato malte a base di calce (nella Cina antica, il riso appiccicoso veniva aggiunto per accrescerne la robustezza). Ma la combinazione d’una malta con un aggregato inerte come mattoni per fare del calcestruzzo è stata probabilmente un’invenzione romana, dice Perucchio.
Nei primi calcestruzzi, Romani estraevano la cenere da una varietà di antichi depositi vulcanici. Ma i costruttori divennero schizzinosi intorno al tempo in cui Augusto divenne il primo imperatore romano, nel 27 a.C. A quel tempo, Augusto avviò un vasto programma in tutta la città per riparare i monumenti antichi e erigerne di nuovi, e i costruttori utilizzarono esclusivamente cenere vulcanica da un deposito chiamato Pozzolane Rosse, un giacimento di ceneri formatosi 456.000 anni fa dal vulcano dei Colli Albani, 12 km a sud-est di Roma.
“L’Imperatore Augusto era la forza trainante dietro la sistematizzazione, standardizzazione delle miscele di malta fatte con Pozzolane Rosse”, dice Marie Jackson, geologa e ingegnere di ricerca presso la University of California a Berkeley. I costruttori romani probabilmente predilessero il deposito di cenere a causa della durabilità del calcestruzzo che l’usava come componente di base, aggiunge. “Questo è stato il segreto per calcestruzzi che ne derivavano, molto ben aderenti, coerenti, robusti.”
Jackson e i suoi colleghi hanno studiato la composizione chimica di calcestruzzi realizzati con Pozzolane Rosse. La miscela unica di minerali fatta con questa cenere sembra avere aiutato il calcestruzzo a resistere al decadimento chimico e ad altri danni.
I Romani favorirono un altro specifico tipo di cenere vulcanica per realizzare il cemento per strutture portuali sommerse nelle acque salate del Mediterraneo. Il Pulvis Puteolanus era estratto da giacimenti in prossimità del Golfo di Napoli. “Migliaia di tonnellate di cenere vulcanica erano inviate dai Romani per costruire porti che si affacciano sul Mediterraneo dalla costa d’Italia sino a Israele ed Alessandria d’Egitto, passando per Pompeiopolis in Asia Minore”, dice Jackson.
L’acqua di mare è molto dannosa per il cemento moderno. Ma nel calcestruzzo romano, il Pulvis Puteolanus “gioca in realtà un ruolo nel ritardare e attenuare il deterioramento quando l’acqua filtra attraverso di esso,” dice Jackson. Sebbene l’esatto meccanismo sia sconosciuto, sembra che le reazioni chimiche tra l’impasto di calce, ceneri vulcaniche e acqua di mare abbia creato strutture microscopiche all’interno del calcestruzzo che intrappolano le molecole come cloruri e solfati che danneggiano il calcestruzzo moderno.
Nonostante il successo del calcestruzzo romano, l’uso del materiale scomparve insieme con la fine dell’Impero Romano. Strutture in calcestruzzo sono state raramente costruite durante il Medioevo, suggerendo che la cenere vulcanica non fosse l’unico segreto per la durabilità del calcestruzzo romano, dice Perucchio.
“Questi progetti molto grandi potevano essere fatti solo grazie alla centralizzazione burocratica, con l’organizzazione adeguata che l’impero romano poteva fornire”.
20/10/2014
Fonte:
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