Costruzione
La sua costruzione iniziò nel 70 sotto l'imperatore Vespasiano, della dinastia flavia. I lavori furono finanziati, come altre opere pubbliche del periodo, con il provento delle tasse provinciali e il bottino del saccheggio del tempio di Gerusalemme (70 d.C.). L'area scelta era una vallata tra la Velia, il colle Oppio e il Celio, in cui si trovava un lago artificiale (lo stagnum citato dal poeta Marziale) fatto scavare da Nerone per la propria Domus Aurea. Questo specchio d'acqua, alimentato da fonti che sgorgavano dalle fondazioni del Tempio del Divo Claudio sul Celio, venne ricoperto da Vespasiano con un gesto "riparatorio" contro la politica del "tiranno" Nerone che aveva usurpato il terreno pubblico, e destinato ad uso proprio, rendendo così evidente la differenza tra il vecchio ed il nuovo principato. Vespasiano fece dirottare l'acquedotto per uso civile, bonificò il lago e vi fece gettare delle fondazioni, più resistenti nel punto in cui sarebbe dovuta essere edificata la cavea. Vespasiano vide la costruzione dei primi due piani e riuscì a dedicare l'edificio prima della propria morte nel 79. L'edificio era il primo grande anfiteatro stabile di Roma, dopo due strutture minori o provvisorie di epoca giulio-claudia (l'amphiteatrum Tauri e l'amphiteatrum Caligulae) e dopo ben 150 anni dai primi anfiteatri in Campania.
Il figlio e successore di Vespasiano, Tito, aggiunse il terzo e quarto ordine di posti e inaugurò l'anfiteatro con cento giorni di giochi, nell'80. Poco dopo, il secondo figlio di Vespasiano, l'imperatore Domiziano, operò importanti modifiche, completando l'opera ad clipea (probabilmente degli scudi decorativi in bronzo dorato), aggiungendo forse il maenianum summum in ligneis e realizzando i sotterranei dell'arena: dopo il completamento dei lavori non fu più possibile tenere nell'anfiteatro delle naumachie (rappresentazioni di battaglie navali), che invece le fonti riportano per l'epoca precedente.
Contemporaneamente all'anfiteatro furono costruiti alcuni edifici di servizio per i giochi: i ludi (caserme e luoghi di allenamento per i gladiatori, tra cui sono noti il Magnus, il Gallicus, il Matutinuse il Dacicus), la caserma del distaccamento dei marinai della Classis Misenensis (la flotta romana di base a Miseno) adibiti alla manovra del velarium (castra misenatium), il summum choragium e gli armamentaria (depositi delle armi e delle attrezzature), il sanatorium (luogo di cura per le ferite dei combattimenti) e lo spoliarum un luogo in cui venivano trattate le spoglie dei gladiatori defunti in combattimento
L'epoca imperiale
Nerva e Traiano fecero dei lavori, attestati da alcune iscrizioni, ma il primo intervento di restauro si ebbe sotto Antonino Pio. Nel 217, un incendio, innescato presumibilmente da un fulmine, fece crollare le strutture superiori; i lavori di restauro fecero chiudere il Colosseo per ben cinque anni, dal 217 al 222; in questo periodo i giochi si trasferirono al Circo Massimo. I lavori di restauro furono iniziati sotto Eliogabalo (218-222) e portati avanti da Alessandro Severo, il quale rifece il colonnato sulla summa cavea. L'edificio fu riaperto nel 222, ma solo sotto Gordiano III i lavori poterono dirsi conclusi. Un altro incendio causato da un fulmine fu all'origine dei lavori di riparazione ordinati dall'imperatore Decio nel 250.
Dopo il sacco di Roma del 410 ad opera dei Visigoti di Alarico, sul podio che circondava l'arena fu incisa un'iscrizione in onore dell'imperatore Onorio, forse in seguito a restauri. Onorio proibì i ludi gladiatori e da allora fu adibito alle venationes. L'iscrizione venne successivamente cancellata e riscritta per ricordare grandi lavori di restauro dopo un terremoto nel 442, ad opera dei praefecti urbi Flavio Sinesio Gennadio Paolo e Rufio Cecina Felice Lampadio. Costanzo II lo ammirò sommamente. Altri restauri a seguito di terremoti si ebbero ancora nel 470, ad opera del console Messio Febo Severo. I restauri continuarono anche dopo la caduta dell'impero: dopo un terremoto nel 484 o nel 508 il praefectus urbi Decio Mario Venanzio Basilio curò i restauri a proprie spese.
Le venationes proseguirono fino all'epoca di Teodorico. Abbiamo i nomi delle più importanti famiglie senatorie dell'epoca di Odoacre iscritte sui gradus: tale usanza è molto più antica, ma periodicamente i nomi venivano cancellati e sostituiti con quelli dei nuovi occupanti (anche a seconda del diverso grado tra clarissimi, spectabilis e illustres), per cui restano solo quelli dell'ultima redazione prima del crollo dell'impero.
Dal Medioevo all'epoca moderna
Dopo l'abbandono fu adibito nel VI secolo ad area di sepoltura e poco dopo venne utilizzato come castello; sotto papa Leone IV venne gravemente danneggiato da un terremoto (847 circa). A lungo utilizzato come fonte di materiale edilizio, nel XIII secolo fu occupato da un palazzo dei Frangipane, che venne successivamente demolito, ma il Colosseo continuò ad essere occupato da altre abitazioni. I blocchi di travertino furono sistematicamente asportati nel XV e XVI secolo per essere riutilizzati in nuove costruzioni, e blocchi caduti a terra furono ancora utilizzati nel 1634 per la costruzione di Palazzo Barberini e nel 1703, dopo un altro terremoto, per il porto di Ripetta.
Benvenuto Cellini, nella sua Autobiografia, raccontò di una spettrale notte tra demoni evocati nel Colosseo, a testimonianza della fama sinistra del luogo.
Nel corso del Giubileo del 1675 assunse il carattere di luogo sacro in memoria dei molti martiri cristiani qui condannati al supplizio (anche se la tradizione che lo vuole luogo di martirio di cristiani è destituita di fondamento). Nel 1744 papa Benedetto XIV vi fece costruire le quindici edicole della via crucis, e nel 1749 dichiarò il Colosseo chiesa consacrata a Cristo e ai martiri cristiani.
Epoca contemporanea: i restauri ottocenteschi
Liberato in due grandi riprese, con gli scavi diretti da Carlo Fea, Commissario per le Antichità, nel 1811 e 1812 e con quelli di Pietro Rosa (1874-1875), agli inizi dell'800, oltre ad essere oggetto dei più fantasiosi progetti di riuso fino alla metà del '700, il Colosseo era staticamente compromesso, dopo esser stato per secoli abitato, adibito a luogo di culto cristiano ed utilizzato come cava di travertino. Uno dei principali e più evidenti problemi era l'interruzione brusca dell'anello più esterno nei lati in corrispondenza delle attuali via di San Giovanni in Laterano e via dei Fori Imperiali che furono non a caso oggetto dei restauri più importanti.
L'intervento di Raffaele Stern
Dopo l'istituzione di una commissione straordinaria da parte di papa Pio VII, i primi restauri iniziarono dopo il 1806, anno in cui un violento terremoto compromise la statica dei due lati liberi dell'anello più esterno. Il terremoto aveva particolarmente aggravato la situazione del terzo anello sul lato occidentale dove, a causa di conci ormai pericolanti, era richiesto un intervento di emergenza. Dopo il puntellamento dei conci, vennero immediatamente montati i ponteggi per la creazione di uno sperone che facesse da contrafforte. Raffaele Stern escogitò due diverse modalità di intervento da sottoporre al vaglio dell'Accademia di San Luca: "per via di togliere", che consisteva nell'eliminazione della parte di attico e delle arcate del terz'ordine danneggiate, soluzione che fu scartata, e "per via d'aggiungere", ipotesi poi effettivamente realizzata con l'aggiunta di uno sperone in laterizio al monumento. Le prime due arcate di ogni ordine furono tamponate e lo sperone rustico fu realizzato privo delle forme architettoniche delle arcate esistenti a causa dell'emergenza e della necessità di praticare l'intervento in economia e rapidità. Anche i conci puntellati, caricati successivamente di significato romantico e descritti come bloccati nell'atto della caduta, sono in realtà solo il frutto di un intervento di emergenza. Stern aveva inizialmente pensato di tinteggiare lo sperone, poi ironicamente chiamato “stampella”, con un intonaco color travertino per evitare l'eccessivo contrasto con le parti autentiche, ma la tinteggiatura non fu mai realizzata.
L'intervento di Giuseppe Valadier
Giuseppe Valadier, che si era già interessato del Colosseo nel 1815 con un Progetto per chiudere decentemente l'Anfiteatro Flavio mediante cancellate, si occupò nel 1823 del recupero dell'anello perimetrale nel lato verso i fori. La differenza sostanziale fra l'impostazione del restauro di Stern e quello di Valadier è che mentre il primo è realizzato sotto il pericolo di un imminente crollo, l'altro può essere praticato in tutta calma.
Dal punto di vista statico l'intervento consistette in un nuovo sperone, in questo caso realizzato con delle arcate del tutto identiche alle originali. L'aggiunta, interamente in mattoni, fu costruita utilizzando materiale diverso rispetto all'originale per motivi economici e non per una volontà di differenziazione, ad eccezione della basi e dei capitelli in travertino, messi in opera in maniera identica agli originali e con lo stesso livello di definizione. Anche in questo caso, per non impattare troppo con la preesistenza, l'aggiunta in laterizi doveva essere tinteggiata con una scialbatura color travertino, mai realizzata.
A dieci anni dall'inizio dei lavori, l'opera venne celebrata da Giuseppe Valadier al pari di una nuova architettura in Opere di Architettura ed Ornamento, ove egli descrisse ed illustrò minuziosamente il cantiere dalla costruzione delle impalcature alla fine del restauro, esaltandolo come una delle sue più grandi realizzazioni.
I lavori di Gaspare Salvi e Luigi Canina
Dagli anni trenta fino alla conclusione dei lavori avvenuta a metà del secolo, i lavori passarono sotto la direzione di Gaspare Salvi e Luigi Canina.
Il primo intervento di Salvi riguardò la parte più gravemente compromessa dell'intera costruzione rimasta in piedi: il terzo anello sul lato dell'attuale via San Gregorio. Su delle basi in travertino Salvi costruisce un completamento con archi in laterizio su imposte di travertino; dagli archi partono degli speroni che ricollegano la parte di nuova costruzione alla parte antica, che viene così staticamente assicurata. In nuovi archi sono segnalati da mattoni bipedali disposti radialmente. I riempimenti dei muri radiali vengono realizzati in travertino al primo ordine ed in laterizio negli ordini superiori, mentre i pilastri di restauro sono costruiti interamente in mattoni. Alla morte di Salvi, Canina prende in mano la direzione dei lavori risolvendo sullo stesso lato un problema di strapiombo verso l'interno della parte più alta della costruzione, che viene assicurata mediante tiranti in ferro ai contrafforti in mattoni di nuova costruzione.
L'ultimo grande intervento è operato sul lato a nord, verso l'attuale via degli Annibaldi, il più conservato ad eccezione dell'attico, che presentava uno strapiombo di oltre 60 centimetri fuori dall'asse. Era dunque necessario costruire un sostegno per la parte più esterna strapiombante. Viene così costruito verso l'interno un abbozzo di quart'ordine nel secondo anello, in cui vengono affondate delle catene binate allo scopo di assicurare la parte d'attico non più in asse.
Il Novecento ed i lavori contemporanei
Fra il 1938 e il 1939 furono completamente scavate le strutture sotterranee dell'arena, in parte alterate dalle ricostruzioni.
Nel 2007 il complesso è stato inserito fra le "Sette meraviglie del mondo moderno". Il Colosseo al giorno d'oggi è la maggiore fonte turistica ed è il simbolo di Roma.
Dopo un lungo restauro, il 16 ottobre 2010 è riaperto al pubblico il terzo anello che si eleva per 33 metri di altezza e da cui si potrà ammirare un bel panorama di Roma, apertura anche per gli ipogei, ovvero le gallerie dove i gladiatori e gli animali si aggiravano prima del combattimento
Fonti: